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Mazzinianesimo

di Leonardo La Puma

Nell’affrontare un argomento così complesso come il mazzinianesimo bisogna riconoscere, in via preliminare, almeno due punti fermi. Il primo: all’atto dell’Unità d’Italia, esso è la sola posizione democratica innervata su un non trascurabile corpo dottrinario, su una rete organizzativa diffusa e in buona parte collaudata, e quindi su un ampio consenso. Il secondo: molte delle idee, delle suggestioni, delle proposte avanzate nel corso di un quarantennio da Mazzini trovano ampio ascolto e accoglienza per tutta la seconda metà dell’Ottocento e la prima del Novecento.

Se resta un dato inoppugnabile che sia il pensiero, sia gli scritti e le posizioni politiche di Giuseppe Mazzini erano ampiamente diffusi in Italia e fuori dai confini nazionali, è altrettanto certo che la nozione di mazzinianesimo non può essere riferita a una corrente di pensiero omogenea, ben definita e strutturata. Né può dirsi che esso rappresenti tutta la democrazia italiana del Risorgimento: si pensi al repubblicanesimo federalista e al nascente socialismo italiano. Pare perciò più opportuno pensare al mazzinianesimo come a una classificazione aperta, a una nozione multiforme, che si articola via via col mutare del tempo, cosa peraltro inevitabile in un quadro di forti cambiamenti ideologici, istituzionali, sociali, sia in Italia sia in Europa. In effetti, se si esclude, in epoca postbellica, il richiamo di un ben preciso partito alle idee mazziniane (Pri), più che di corrente bisogna parlare di singole personalità che, in sintonia o meno tra loro, si sono ispirate e abbeverate alle fonti del credo mazziniano nell’ultimo scorcio dell’Ottocento e per tutto il Novecento. D’altro canto, sono ampiamente note le fibrillazioni che scuotono il mazzinianesimo, vivente Mazzini, dopo il 1860 e ancor più in concomitanza con la nascita e l’avvio dell’Internazionale comunista e le pulsioni anarchiche assai vive in Italia ed in Europa negli anni immediatamente successivi.

Del mazzinianesimo, dunque, non si può dare una definizione precisa e rigorosa. Ognuno, specie dopo la morte del Genovese, si accosta alla complessità del suo pensiero con specificità proprie e dando una risposta personale in relazione al mutare degli eventi. Se si può individuare un elemento che identifica in qualche modo la struttura portante del mazzinianesimo, esso va ricondotto al principio dell’indissolubilità di prospettiva sociale e fine nazionale, poiché tale legame è ampiamente riconosciuto e fatto proprio da quasi tutto l’ambiente intellettuale democratico e repubblicano che si può ricondurre alla galassia del mazzinianesimo. Il primo autentico mazziniano e perciò capostipite del mazzinianesimo è senza dubbio Aurelio Saffi(1819-1890). Intellettuale fine e spesso sottovalutato, ha forse scontato sul piano storiografico la sua indiscussa, ma non pedissequa, fedeltà alle idee del Maestro, da lui considerato come una sorta di sacerdote del Risorgimento, al punto da meritare l’appellativo di «ultimo vescovo» [Balzani 1988]. Morto il Genovese, è uno degli ispiratori e promotori del Fascio della democrazia (1883), il cui statuto era ispirato alle dottrine mazziniane.

Libertà politica e sovranità popolare sono invece i pilastri della repubblica sui quali costruire il fine dell’umanità, secondo il dettato di Mazzini che Arcangelo Ghisleri (1855-1938) propone per tutta la vita. Il suo repubblicanesimo s’incontra con il sistema politico federale proposto in Italia da Carlo Cattaneo, sistema che avrebbe risolto, secondo lui, anche la questione meridionale. Il progetto di Ghisleri si caratterizza, in sintesi, per il tentativo di trovare una convergenza tra i due grandi democratici dell’Ottocento, Mazzini e Cattaneo. Pochi hanno considerato, secondo lui, l’originalità dell’impianto statuale preconizzato dal Genovese: il Comune, la Nazione e la Regione, zona intermedia indispensabile tra l’uno e l’altra. Ragione per cui un attento esame degli scritti di entrambi dimostrerebbe una coincidenza di prospettiva politica tra i due democratici.

Quello di Giovanni Bovio (1837-1903) è un mazzinianesimo che può essere definito eterodosso, per alcuni aspetti convinto delle idee del Genovese, per altri fortemente critico. In un momento particolarmente difficile che attraversa la composita intellettualità meridionale, sospesa tra tendenza repubblicana di ascendenza mazziniana e irruzione dell’anarchismo bakuninista, Bovio unisce all’indiscusso entusiasmo per gli scritti mazziniani, la sua devozione per Machiavelli e il suo rigetto per tutte le posizioni, compresa quella di Mazzini, latu sensu religiose, spiritualistiche. Viceversa, non verrà mai meno in lui la fedeltà all’assunto mazziniano della repubblica come «unica forma logica della democrazia» [Mazzini 1905]. Il suo mazzinianesimo è improntato, come in altri del resto, al tentativo di un’auspicabile e necessaria integrazione col socialismo, non ritenendo il primo un verbo indiscutibile, ma semplicemente una visione politica inadeguata, da sola, a realizzare le aspirazioni dell’Italia unita. Uno degli aspetti di maggiore attenzione nell’intero percorso speculativo di Giovanni Bovio concerne senz’altro il tema della repubblica. E quando si parla di repubblica e si resta entro l’orizzonte della repubblica democratica, scrive, quali che siano le sfumature e le differenziazioni, «si respira l’ideale mazziniano». Lo stesso Marx, con la sua analisi scientifica del capitale non fa altro che svolgere «un lato precipuo del problema mazziniano». Ma posto che i precursori non danno sistemi, ma «danno germi e faville», non c’è dubbio alcuno che Mazzini pone «i germi senza presentare un sistema filosofico, né letterario, né politico, né sociale. Quando si parla di un gran mutamento civile e sociale, prima vengono i maestri, poi i sistematori». Tuttavia, precisa Bovio, negli scritti di Mazzini emergono alcune linee che rinviano alla questione sociale e «non in astratto alla redenzione delle plebi, come fa il suo avversario» (alias Marx), specialmente per quanto riguarda l’associazionismo operaio e la proposta di un fondo nazionale finalizzato al riscatto della proprietà terriera. Mazzini è vivo e molto del suo pensiero vivrà se le sue idee – Dio, unità, repubblica, redenzione delle plebi, umanità – verranno intese come un corpus unico che dà vita a un sistema «del quale egli pose la pietra e ad altri trasmise il dovere e l’onore del sacrificio». Solo così il Dio di Mazzini può farsi legge sociale; l’unità organismo in un più ampio decentramento e grado di altre unità superiori; la repubblica non più aristocratica, borghese, classica, medievale, ma nuova e sociale; il riscatto del popolo minuto non più utopistico, ma concreto; l’umanità, infine, non concetto storico o cristiano, ma realtà interfederale e organica.

Stando a un’autorevole ricostruzione, Gaetano Salvemini (1873-1957) avrebbe scoperto i suoi più veri maestri, nei primi anni del nuovo secolo, in Carlo Cattaneo e in Giuseppe Mazzini. Un accoppiamento che può sembrare paradossale e che invece risulta del tutto naturale e si può dire «predestinato se si pensa che il contrasto tra buon senso, concretismo, problemismo, da un lato, e tensione morale e laica religione del dovere, dall’altro, era connaturato in Salvemini» [Galasso…., p. 265]. Secondo lo storico molfettese, l’atteggiamento culturale di Mazzini è paradossale per molti aspetti. In particolare, di fronte ai grandi sommovimenti culturali, sociali e politici dell’Ottocento, (positivismo, federalismo, marxismo) Mazzini appare inequivocabilmente un arretrato, un conservatore. D’altronde, insiste Salvemini, è senza dubbio un isolato nel contesto italiano, in rottura con Cattaneo, Ferrari, Alberto Mario, e con tutte le sfumature della democrazia pre e postrisorgimentale. E tuttavia, Mazzini è un italiano che vive nel periodo della formazione dell’unità italiana, in un periodo di arretratezza cinquantennale rispetto all’Europa, per cui posizioni più avanzate avrebbero messo in discussione proprio il principio dell’unità nazionale che stava a cuore a Mazzini. Da questa prospettiva, secondo Salvemini, si può cogliere la grande funzione rivoluzionaria della teoria mazziniana tra il 1831 e il 1870. Il Genovese, infatti, tenendo a bada il socialismo di fronte alla borghesia, creò la nazione italiana col suo apostolato eroico. Sul finire dell’Ottocento, impellente appare in Salvemini la necessità di fare i conti con Mazzini e il mazzinianesimo, ai quali dedica tanta parte del suo tempo. Man mano che procede nello studio degli scritti mazziniani, egli avverte, ferma restando la sua avversione per il misticismo e il dogmatismo del Genovese, una forte ammirazione per la personalità morale mazziniana. Nel discorso inaugurale letto nell’Università di Messina (Il pensiero e l’azione di Giuseppe Mazzini, pubblicato qualche mese dopo col titolo Il pensiero religioso politico sociale di Giuseppe Mazzini, Messina 1905) Salvemini mette in luce ciò che è vivo e ciò che è morto del pensiero mazziniano. L’originalità dell’analisi di Salvemini, una volta sgomberato il campo da qualsiasi tentazione agiografica, sta nel rapporto fra programma sociale mazziniano e socialismo. Mazzini è, al pari di Saint-Simon e di Leroux, uno dei precursori del socialismo moderno. La sua ostilità al socialismo nasce con la comparsa sulla scena di Blanqui e Marx, in particolare con la lotta di classe. Ma la vera grandezza, il capolavoro di Mazzini, è nella sua idea di unità nazionale. In questa prospettiva, la sua fede acquista uno spessore nuovo, forte: senza di essa non ci sarebbe oggi una nazione. E «anche se non ci restasse l’unità politica italiana come felice conseguenza di quella fede, rimarrebbe il grande insegnamento morale implicito nello spettacolo eroico di una lunga vita interamente dedicata a una grande causa attraverso infinite sofferenze».

Autentico apostolo mazziniano, Ugo Della Seta (1879-1958) combatte il fascismo con le armi (morali, religiose e politiche) della dottrina mazziniana. Secondo Della Seta, Mazzini pone le basi per un vero ed autentico socialismo, incastonato nella profezia secondo la quale verrà il giorno in cui «saremo tutti operai» e avremo una società in cui si attuerà la formula «libero lavoro associato in libero Stato vigilante e cooperante». Nella sua lunga battaglia politica, il Della Seta auspica un’Europa libera conformemente all’insegnamento profetico di Mazzini che informerà tutta la sua azione politica.

Alle soglie del primo conflitto mondiale si può registrare il filone più consistente e tutto sommato più interessante dello sviluppo delle idee mazziniane, grazie all’interpretazione di Alessandro Levi (1881-1953). In un momento storico di esaltazione nazionalistica, Levi contrappone allo spirito di dominazione il patriottismo mazziniano, denunciando nello stesso tempo i tentativi in atto di deformazione del pensiero del Genovese. Quasi in anteprima, Levi pone in stretta connessione mazzinianesimo e socialismo, ritenendole due dottrine tra loro complementari ed entrambe volte «al miglioramento della classe lavoratrice, alla integrale trasformazione della società» [Levi 1917].

Undici anni dopo è la volta del Socialismo liberale di Carlo Rosselli (1899-1937) e della sua idea di fondo che mazzinianesimo e socialismo possano trovare una sintesi nel laburismo inglese. Nel perseguire il suo progetto, Rosselli punta non tanto sulle classiche formule proprie del linguaggio mazziniano, quali «Dio e Popolo», quanto sull’etica politica mazziniana e sulla sua concezione democratica. Sulla scia di Levi e Rosselli e sulla necessità dell’incontro tra socialismo e liberalismo si muove Guido Calogero con due importanti scritti dedicati al Genovese: Il pensiero filosofico di G. Mazzini (1937) e Mazzini maestro degli italiani (1945). Nella stessa direzione si svolge l’impegno politico e culturale del mazziniano Giulio Andrea Belloni (1902-1957). Perseguitato dal fascismo, egli intesse la sua azione intorno al binomio repubblica/socialismo, in altre parole forma politica/contenuto economico, esplicitato nel Socialismo mazziniano (Milano,1946) e nella successiva Dichiarazione di socialismo mazziniano (1955).

Gli intellettuali e i politici appena citati sono, accanto ad altri più giovani (ad esempio, Giovanni Spadolini), gli esponenti di un partito (Partito Repubblicano Italiano) che ha innervato il suo credo nell’alveo del mazzinianesimo autentico, promuovendo e accompagnando quel clima culturale da cui è nata la Domus Mazziniana, istituita ufficialmente il 14 agosto 1952. Centro autonomo di studi e ricerche, l’istituto pubblica una rivista trimestrale, «Il Bollettino della Domus Mazziniana», e promuove conferenze, convegni, seminari e corsi di aggiornamento per docenti. Dispone, inoltre, di Biblioteca e Archivio storico.

L’interesse sempre vivo di una storiografia internazionale per le battaglie e il pensiero di Mazzini testimoniano la grande eco che le posizioni ideologiche del Genovese hanno sempre avuto fuori dai confini nazionali. Per quanto non riconducibile al mazzinianesimo tout court, non si può trascurare tutta una corposa serie di istanze sociali e politiche che si agganciano esplicitamente al pensiero mazziniano. Sui temi centrali dell’azione sociale e politica, molti personaggi stranieri, anche coevi, specie in Inghilterra, Francia, Romania, Polonia e mondo slavo, hanno considerato e utilizzato Mazzini quale risvegliatore dei popoli e profeta del principio di nazionalità.

L’attenzione di Mazzini per il problema della donna attraversa tutta la sua vita di pensatore e di organizzatore politico. È un aspetto particolare del suo apostolato che ha consentito, lui vivente, ma anche nei decenni successivi, l’adesione al suo pensiero dell’universo intellettuale femminile, non solo italiano. A parte il lungo, intenso rapporto culturale con George Sand, Maria d’Agoult e Matilda Biggs, particolarmente votate alla predicazione del verbo mazziniano sono la giornalista inglese e «pasionaria» del Risorgimento Jessie White, l’americana Margaret Fuller, la milanese Cristina Trivulzio di Belgioioso, la salentina Antonietta De Pace e, più tardi, Bianca Milesi, Giorgina Craufurd, Gualberta Beccari, Anna Maria Mozzoni.

In anni più recenti, il mazzinianesimo ha trovato in Salvo Mastellone, a partire dalla sua monografia sulla «Giovine Italia» (1960), un profondo e convinto assertore. I suoi innumerevoli studi, che promettono nuovi contributi a dispetto della vegliarda età, hanno contribuito a far luce in particolare sul «Mazzini inglese». Il multiforme impegno del Genovese nel corso del suo lungo esilio londinese è stato ampiamente e per la prima volta sondato, per merito dello storico napoletano-fiorentino, in tutte le sue sfaccettature storico-ideologiche. Mazzini è così inserito, a giusto titolo, tra i principali artefici della nascita della democrazia in Europa. Una democrazia dai forti contenuti etici, politici e sociali, che si fa strada tra le varie forme di nazionalismo e il prepotente emergere del comunismo marx-engelsiano, approdando inequivocabilmente sulle sponde del liberalsocialismo.

Bibliografia

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Brano tratto dal "Dizionario del liberalismo italiano", edito da Rubbettino Editore. Clicca qui per acquistarlo con il 15% di sconto