A - B - C - D - E - F - G - H - I - J - K - L - M - N - O - P - Q - R - S - T - U - V - W - X - Y - Z -

image_pdfimage_print

Autore (diritto di)

di Michela Mantovani

Il diritto di autore in Italia fu introdotto originariamente con legge cisalpina del 19 maggio 1801, che basandosi sulla legge francese di Napoleone del 24 luglio 1793, riconosce agli autori «il diritto esclusivo di vendere, far vendere, distribuire le loro opere nel Territorio Cisalpino, e di cederne la proprietà in tutto o in parte»; estendendo il diritto agli eredi per dieci anni dalla morte dell’autore. Dispone, inoltre sanzioni contro i contraffattori, previo deposito da parte dell’autore di due copie dell’opera alla Biblioteca Nazionale.

Nel maggio del 1840 una convenzione fra l’Impero austriaco e il Regno Sardo stabilì, tra Vienna e Torino, la tutela del diritto di proprietà delle opere letterarie e artistiche nei rispettivi Stati e negli altri che vi aderissero. Esso valeva durante la vita dell’autore ed era trasmissibile a terzi. La convenzione fu estesa nel 1861 al Regno di Italia. Il pensiero liberale sul diritto d’autore in Italia si è sviluppo soprattutto in quest’epoca e in quella immediatamente successiva in relazione ai problemi che sorsero al riguardo. Il dibattito è proseguito in seguito, intrecciandosi con quello più ampio sulla proprietà intellettuale in generale. Possiamo individuare quattro posizioni:

– quella liberista pura di Francesco Ferrara, che nega il diritto d’autore, in quanto esso darebbe luogo a una situazione di monopolio su un bene di cui tutti potrebbero, oggettivamente, usufruire, in concorrenza con l’uso degli altri, senza ridurlo;

– quella di Gerolamo Boccardo secondo cui il diritto d’autore non è un diritto di proprietà, ma un diritto riguardante la tutela del compenso del lavoro intellettuale, quindi non trasmissibile a terzi;

– quella di Alessandro Manzoni secondo cui non si tratta solo di un compenso per il lavoro intellettuale ma anche di una difesa da un danno che può derivare a tale lavoro da una pubblicazione non autorizzata dall’autore;

– e da ultimo la posizione, fra gli altri, di Luigi Einaudi per cui si tratta di una vera proprietà intellettuale trasmissibile a terzi, che però va delimitata nel tempo, per evitare che ci sia un abuso monopolistico.

La posizione di Francesco Ferrara, su questo tema è espressa nella Prefazione al volume di economia politica di Heinrich Storch pubblicata nel 1850 nella collana dalla Biblioteca dell’Economista da lui curata e nella successiva prefazione alle opere di G.B. Say, nella stessa collana, del 1855. Per Ferrara la proprietà intellettuale è uno dei monopoli più odiosi e quindi non può essere accettata, in quanto il canone fondamentale dell’economia è il principio di concorrenza. Dunque, si può dire che per Ferrara il diritto d’autore genera una distorsione nel mercato perché limita l’offerta di un bene, che, per sua natura, è suscettibile di essere fruito da tutti. Con una terminologia allora non in uso, possiamo dire che egli considera la creazione intellettuale come un bene pubblico nel senso di Samuelson, cioè che tutti possono fruire senza menomare la fruizione degli altri e per il quale non si deve applicare il principio di esclusione, mediante la protezione artificiale della legge a favore dell’autore o di altri a cui egli ceda tale diritto di esclusiva. Questa tesi è stata sviluppata dall’economista liberale Giuseppe Todde, allievo di Ferrara che fu considerato da Wilfredo Pareto come uno dei maggiori economisti liberisti dell’epoca, ma che rimase sostanzialmente isolato. Ma non si trattò di una tesi generalmente seguita dagli economisti e dai politici liberali.

Maggiore importanza ha avuto la tesi di Gerolamo Boccardo, elaborata come parere pro veritate, per una controversia giudiziaria fra Alessandro Manzoni e l’editore di Firenze Felice Le Monnier che nel 1845 aveva ristampato la prima edizione dei Promessi sposi, senza autorizzazione dell’autore, dopo che questi aveva pubblicato l’edizione riveduta. La prima edizione dei Promessi Sposi era del 1825. Nel 1840-’42 dopo aver «risciacquato i panni in Arno» Manzoni aveva pubblicato una nuova edizione dei Promessi Sposi con un linguaggio ampiamente modificato. La nuova edizione era protetta dal diritto di autore, ma quella dei Promessi Sposi edita da Le Monnier era una edizione del 1832 quando il diritto d’autore ancora non esisteva nel Lombardo Veneto. Ma in sé i Promessi Sposi erano ormai un’opera protetta dal diritto d’autore e il tribunale di Firenze diede ragione al Manzoni che aveva denunciato per contraffazione il Le Monnier. Tuttavia le contraffazioni continuarono e nel 1860 il Manzoni citò in Corte d’appello il Monnier. Questi ebbe nuovamente torto e per il ricorso in Cassazione ricorse a un parere del noto economista liberale, ma di indirizzo eclettico, Gerolamo Boccardo che scrisse a sua difesa il saggio dal titolo Della proprietà letteraria. Il Boccardo sostenne che il diritto di proprietà riguarda solo beni dotati di un contenuto materiale, non può riguardare i prodotti dell’attività intellettuale. La tutela di questa vale solo come tutela di un lavoro, per il quale chi lo fa a beneficio degli altri, ha diritto a un compenso. Dunque il diritto di autore non è un diritto reale, su una cosa, ma un diritto personale, al compenso per un sevizio reso e pertanto non è trasmissibile a terzi. Se fosse il diritto a una cosa, esso ne tutelerebbe la proprietà, anche se la cosa è preesistente alla legge, dal momento che essa c’è ancora al momento in cui la legge è emanata. Ma poiché questo diritto riguarda solo il compenso per dei servizi, esso si applica solo a quelli che sono stati effettuati dopo che è stata emanata la legge che lo ha introdotto. Il Manzoni non negò che il diritto d’autore fosse a tutela di un servizio e non di un bene oggettivo, ma sostenne, contrariamente a quanto affermava il Boccardo, che non si trattava di un lavoro come gli altri, ma di un lavoro con un rischio, perché l’opera poteva anche non incontrare il favore del pubblico e rimanere invenduta. E chi avesse riprodotto l’opera, dopo che essa aveva avuto successo, poteva praticare un prezzo più basso in quanto non aveva corso alcun rischio. Riproducendo una edizione precedente a quella tutelata dal diritto d’autore, l’editore poteva fare concorrenza all’edizione successiva, protetta dal diritto d’autore, riducendo il suo guadagno. E tale concorrenza non era conforme ai criteri del libero mercato, perché si poteva avvalere di un prezzo più basso, non essendo una operazione rischiosa. Manzoni vinse la causa. Ciò che è importante è che egli introduce la nozione per cui nell’economia di mercato, chi corre un rischio, per effettuare innovazioni, deve essere compensato, affinché le innovazioni ci siano. Ed è questa la nozione che è alla base della tutela della proprietà intellettuale, nella teoria contemporanea del diritto di proprietà.

Luigi Einaudi, nel 1956 discutendo in Senato della durata dei brevetti, si pronuncia a favore del diritto della proprietà intellettuale, ma come «diritto limitato nel tempo, a colui che ha compiuto il lavoro, ha corso il rischio. Ha azzardato capitali. Questo è il fondamento di una proprietà industriale, la quale merita di essere tutelata dallo stato». Il riferimento specifico è al brevetto, come proprietà industriale, ma il ragionamento riguarda la proprietà intellettuale in generale. Einaudi, difendendola, tiene però presente la tesi di Francesco Ferrara per cui questo diritto ha in sé un contenuto di monopolio su un bene che per sua natura è liberamente fruibile da tutti, senza che l’uso degli uni danneggi quello degli altri e pertanto si pronuncia contro la proroga della durata dei brevetti, sia per quelli già esistenti, che per quelli futuri, da 15 a 18 anni, preoccupandosi della limitazione che ciò arrecherebbe al diritto dei «signor nessuno» di poterne fruire. Si tratta, per i brevetti esistenti, di un diritto che è già maturato, mentre per quelli futuri, esso non lo è ancora. In sostanza per Einaudi accanto agli interessi corposi di coloro che hanno ottenuto i diritti della proprietà intellettuale, che sono costati loro un impiego di lavoro, di capitali, di rischio, i legislatori debbono considerare gli interessi di tutti quegli innumerevoli soggetti che non hanno un nome, ma che sono la generalità dei cittadini. Il pensiero liberale sulla proprietà intellettuale si muove intorno e all’interno di questo bilanciamento.

Bibliografia

Boccardo G., Della proprietà letteraria. Ossia dei diritti degli autori e degli editori. Considerazioni di Girolamo Boccardo sopra una questione legale insorta tra il signor conte Alessandro Manzoni e il signor Felice Le Monnier,Tipografia Scolastica di Sebastiano Franco e Figli, Torino 1861; Einaudi L., Interventi e Relazioni parlamentari, a cura di S. Martinotti Dorigo, Fondazione Luigi Einaudi, Torino 1980-1982; Ferrara F., Opere complete, a cura di B. Rossi Ragazzi, Associazione Bancaria Italiana, Roma 1955; Forte F., Luigi Einaudi e l’economia delle istituzioni. In particolare il monopolio, inAccademia Nazionale Dei Lincei, Roma 2005; Luigi Einaudi: istituzioni,mercato e riformasociale: convegno, Roma, 18 e 19 febbraio 2004,Bardi, Roma 2005, ora in F. Forte, L’economia liberale di Luigi Einaudi, Olshki, Firenze 2009; Todde G., Studi sulla pretesa proprietà letteraria e rivista del libro di P. J. Proudhon sui maggioraschi letterari, Tipografia della Gazzetta Popolare, Cagliari 1863.

Brano tratto dal "Dizionario del liberalismo italiano", edito da Rubbettino Editore. Clicca qui per acquistarlo con il 15% di sconto