Diritti civili

di Fabrizio Sciacca

Le teorie politiche e giuridiche liberali affermano senza dubbio che i grandi temi della filosofia pratica e i punti nodali della teoria generale del diritto non possono prescindere dalle questioni dei diritti del singolo individuo come cittadino di una comunità politica, vale a dire in che modo e a quali principi la legislazione statale è rispetto a tali diritti vincolata. In particolare, in filosofia politica «costituzione» è spesso usato come frutto della combinazione tra il primo e il secondo significato: un ordinamento in cui le libertà e i diritti dei cittadini sono tutelati nei confronti dello Stato – in questo caso, «costituzione» è un limite giuridico al potere politico.

Quali sono le modalità concepibili di limitazione dell’esercizio del potere? È possibile individuare almeno tre ipotesi. Ipotesi minima: ogni potere è un «potere giuridico», cioè non esiste «potere» che non sia autorizzato, o erogato, dal diritto. Ipotesi media: ogni potere è sì un «potere giuridico», ma è meramente limitativo e negativo, poiché si esprime attraverso divieti o confini, ed è illegittimo ogni potere che si spinga oltre la barriera di tali confini. Ipotesi massima: ogni potere è concepito come una struttura normativa di tipo costituzionale, e si sostanzia in ascrizioni e conferimento di diritti soggettivi. La prima ipotesi configura il principio di legalità in senso strettamente formale, poiché si sostanzia in norme che conferiscono potere o che disciplinano il potere al fine del suo esercizio. La seconda ipotesi configura il principio di legalità in senso sostanziale dell’esercizio del potere. La terza ipotesi configura il principio dello Stato costituzionale inteso come concreto Stato di diritto, ovvero il principio di legalità sostanziale pienamente esteso al potere esecutivo.

I diritti inclusi nel sistema vivono l’esperienza di una delicata autonomia, in quanto portatori di un valore intrinseco che è stato al centro di un lungo percorso giuridico. Pertanto, essi sono funzione di ponderazione delle concezioni del «giusto» e del «buono», presenti in tutta la tradizione liberale della filosofia contemporanea, almeno a partire dalla ricostruzione critica del dibattito tra liberali e comunitari, per descrivere la possibilità che i diritti costituiscano dei principi in sé e non siano subordinati a una teoria utilitaristica del bene comune. Questa opposizione rispecchia anche la tensione tra la tradizione continentale europea, più incline all’interpretazione dei diritti in quanto norme, e la tradizione statunitense, più vicina alla questione democratica e perciò propensa a iscrivere in un dibattito costituzionale il problema di ciò che è fondamentale.

L’argomento dei diritti sociali come diritti civili fondamentali è stato oggetto di diffusi dibattiti. Non è opportuno qui entrare nel merito di cosa sia intimamente «fondamentale», se si tratti di diritti, di valori sanciti e istituzionalmente protetti, di ciò che è condizione funzionale dell’ordinamento, o di altro ancora. Le teorie filosofiche annoverano una vasta gamma di ipotesi. Ciò che si può assumere come punto fermo è un uso molto sensato di «fondamentale» nella tradizione filosofica e giuridica liberale: «fondamentale» come «costituzionale».

Bibliografia

Diritto e giustizia (1958), a cura di G. Gavazzi, Einaudi, Torino 1965.