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Autarchia

di Giovanni Pavanelli

In ambito economico l’autarchia fa riferimento a un obiettivo di rigida chiusura del mercato interno di un dato Paese agli scambi internazionali di merci e servizi. Se si esclude il caso estremo di una comunità interamente isolata, i divieti al commercio o le drastiche limitazioni allo stesso, proprie di un regime autarchico, vengono imposte per lo più con riferimento a un insieme di settori considerati a vario titolo primari o, comunque, «strategici». In ogni caso, quale che sia la versione considerata, l’autarchia non può non apparire in contrasto con i principi del liberismo e, va detto, anche della razionalità economica: come ebbe a rilevare per primo Adam Smith nella sua Ricchezza delle nazioni, infatti, solo in mercati sufficientemente ampi è possibile quella specializzazione delle attività produttive che è premessa essenziale per conseguire livelli di produttività elevata e un maggior benessere.

Uno dei tentativi più noti di applicazione di politiche autarchiche in epoca recente fu indubbiamente quello promosso in Italia dal regime fascista nella seconda metà degli anni Trenta, in risposta alle sanzioni adottate dalla Società delle nazioni all’indomani dell’invasione dell’Etiopia. La cappa della censura che allora gravava sul Paese impedì tuttavia agli economisti di orientamento liberista di manifestare tutto il proprio dissenso. In un’opera elaborata nel 1937 (La politica economica dei grandi sistemi coercitivi) e in alcuni documentati studi comparsi sulla «Rivista Internazionale di Scienze Sociali» tra il 1937 e il 1939, Giovanni Demaria, lo stesso che all’indomani della Liberazione sarebbe stato chiamato a presiedere la Commissione economica della Costituente, pur sollevando diversi appunti critici nei confronti della politica autarchica e pur osservando che questa comportava una riduzione del reddito complessivo, arrivò a concedere che potesse essere ritenuta necessaria al fine di permettere il conseguimento di obiettivi extraeconomici: in primo luogo il rafforzamento del potenziale difensivo del Paese.

Critiche caute ma non meno significative vennero espresse da Luigi Einaudi. In un’ampia rassegna pubblicata nel 1937 sulla «Rivista di Storia Economica», ad esempio, l’economista torinese sottolineava come gli scritti sul tema comparsi in Italia affrontassero solo di rado un punto invero cruciale ai fini di una valutazione razionale dell’intera questione: il costo dei provvedimenti autarchici in un contesto di risorse scarse e di bisogni potenzialmente illimitati [Einaudi 1937].

Durante la guerra, l’impostazione autarchica (e il farraginoso apparato burocratico a essa connesso) venne confermata e si configurò anzi una sua estensione in relazione con i progetti di cosiddetti «Neue Ordnung» europeo elaborati in Germania dai dirigenti nazisti e imposti agli Stati satelliti od occupati militarmente [Milward 1971]. In un articolo pubblicato nel 1941 sul «Giornale degli Economisti» e, quindi, in un coraggioso intervento al Convegno sull’«ordine nuovo» nel dopoguerra svoltosi a Pisa nel maggio del 1942, Demaria espresse un severo giudizio sulla politica di chiusura del mercato nazionale condotta dal regime e condannò risolutamente i piani di autarchia continentale sotto l’egida della Germania, affermando che essi erano destinati a compromettere le prospettive di sviluppo della maggior parte dei Paesi europei, a iniziare dall’Italia. Una volta finita la guerra, il nostro Paese avrebbe dovuto al contrario scrollarsi di dosso le bardature autarchiche e favorire lo sviluppo dei settori manifatturieri legati alle esportazioni, di gran lunga più dinamici e in grado di realizzare un elevato valore aggiunto [Demaria 1941 e 1951; Pavanelli 1997]. La relazione, come era da attendersi, suscitò aspre reazioni censorie: il testo dell’intervento non venne pubblicato e Demaria rischiò, se non l’arresto immediato, di sicuro l’allontanamento dalla cattedra.

All’inizio del settembre 1943, in un momento drammatico per la vita nazionale, sarebbe stato Luigi Einaudi a ritornare sull’argomento e a lanciare dalle colonne del «Giornale d’Italia» una dura requisitoria contro i fondamenti delle politiche autarchiche. L’autosufficienza economica, affermava ora a chiare lettere l’economista torinese, era perseguibile solo nel contesto di un’economia primitiva: in epoca moderna, nella quale i bisogni si erano andati moltiplicando e gli individui si erano andati specializzando nel produrre spesso «una minuta frazione di un sol bene o servizio, l’autarchia avrebbe implicato il ritorno a condizioni preistoriche di civiltà, a un tenor di vita che nessun popolo moderno [avrebbe] sopport[ato] mai a lungo» [Einaudi 1943, p. 1].

Terminato il conflitto e ripristinato in Europa occidentale un clima di libertà e cooperazione tra i vari Paesi, l’Italia si sarebbe incamminata gradualmente ma risolutamente verso la riapertura della propria economia ai mercati internazionali. Una scelta caldeggiata dagli economisti liberisti negli anni più difficili della vita nazionale e destinata a rivelarsi uno dei fattori determinanti dello sviluppo italiano nel secondo dopoguerra. «Un paese come il nostro – in questi termini veniva salutata la svolta dallo stesso Demaria in occasione del terzo Convegno nazionale per il Commercio con l’estero svoltosi a Milano nel 1949 –, ha bisogno di aria e di luce. Solo un regime di vincolismi doganali realmente attutiti gli consentirà di superare [questo] periodo di convalescenza morale e materiale» [Demaria 1949, p. 636].

Bibliografia

Demaria G., La politica economica dei grandi sistemi coercitivi, Gili, Torino 1937; Id., L’economia italiana nel 1938, IV, Industria e commercio, in «Rivista Internazionale di Scienze Sociali», 1939; Id., Il problema industriale italiano, in «Giornale degli Economisti», 1941; Id., Problemi attuali e di lungo momento del commercio estero italiano,in «Rivista di Politica Economica», 1949; Id., L’ordine nuovo e il problema industriale italiano nel dopoguerra. Relazione generale (1942), ora in Id., Problemi economici e sociali del dopoguerra, 1945-1950, a cura di T. Bagiotti, Malfasi, Milano 1951; Einaudi L., Dell’autarchia, della mortalità e di altre variazioni recenti dell’economia italiana narrate da contemporanei, in «Rivista di Storia Economica», a. II, 1937; Id., L’autarchia e i suoi danni, in «Giornale d’Italia», sett. 1943, rist. in Id., Il buongoverno: saggi di economia e politica, a cura di E. Rossi, Laterza, Bari 1955; Milward A.S., The New Order and the French Economy, Clarendon Press, Oxford 1970; Pavanelli G. Politica industriale e commercio estero tra autarchia e ricostruzione. Il contributo di Giovanni Demaria, in Pensare l’Italia nuova: la cultura economica milanese tra corporativismo e ricostruzione, a cura di G. De Luca, FrancoAngeli, Milano 1997.

Brano tratto dal "Dizionario del liberalismo italiano", edito da Rubbettino Editore. Clicca qui per acquistarlo con il 15% di sconto